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La cultura storica e la sfida dei rischi globali - Page 7


Alla metodologia di ricerca proveniente dal punto di vista ecologico dobbiamo acquisizioni nuove e ineludibili: le origini e il processo dell’industrializzazione sono chimicamente depositati sia negli strati profondi dei ghiacci polari dell’Antartide sia nei tronchi degli alberi secolari, anche i più lontani dai centri dello sviluppo industriale19. Nei ghiacci e nella natura lo sviluppo registrava una contabilità e scriveva una storia che l’accademia non ha finora tenuto in considerazione, e che giungono a noi a partire dagli anni Settanta del XX secolo nelle forme di sempre più gravi sofferenze umane e di rischi per la vita della specie (e delle diverse specie del vivente), senza che la storiografia professionale se ne sia accorta. Abbiamo detto che storia e storiografia (cioé l’essere reale e la coscienza dell’essere, ridotta ad un pallido riflesso mediato dall’ideologia) possono divergere anche drammaticamente tra loro; quello che costituisce motivo di particolare preoccupazione é che ciò avvenga in una fase nella quale la direzione del movimento storico rimanda a scenari di morte della vita e della storia. La normalità del divario tra essere e coscienza diventa lacerazione angosciosa, in quanto la storiografia tende a negare la mortalità della storia e/o a negare la propria competenza al proposito; mentre i dati chimico–fisici ci pongono di fronte ad uno scontro di storicità i cui effetti sono difficilmente reversibili o rimediabili, e sarebbero comunque affidati ad un processo secolare e plurisecolare. Anche quello dell’eventuale recupero del mondo dall’attuale patologia sarebbe un fenomeno storico; ma l’abdicazione di Clio é totale, e probabilmente fatale in un plesso fenomenologico nel quale gli elementi di coscienza possono essere in extremis determinanti.
Se la rivoluzione industriale richiama l’attenzione degli ecologi, le ricerche e gli scritti di ispirazione ambientalistica si rivolgono soprattutto ai decenni successivi alla "guerra dei trent’anni" e in relazione con gli effetti della guerra del 1939–4520; e ciò é comprensibile, sia per il carattere di urgenza della riflessione ecologica, che costituisce una delle caratterizzazioni più forti degli ultimi decenni, sia perchè la rivoluzione industriale (e lo sviluppo che l’economia ne ha assunto) é in ogni caso acquisita alla storiografia, e riconosciuta dagli storici come un nodo intricato, uno di quelli sui quali le polemiche intorno ai rapporti tra economia e società tendono ad ammorbidire i separatismi ed a proporre da punti di vista diversi una visione unitaria di storia politico–sociale e storia economica. I risultati analitici e scientifici delle ricerche in argomento, con ciò che ne é derivato in forma di conoscenze e di "visione del mondo", costituiscono senza dubbio oggetto di ammirazione; ma proprio la perfetta monumentalità dell’assieme di storia e storiografia ostacola l’aggressione critica.
Le osservazioni generali testé fatte mi esimono dall’affrontare direttamente in questa sede le dispute tra coloro che hanno limitato la "rivoluzione" ai soli aspetti e indici economici, e se ne sono fatti gli apologeti, e i sostenitori dell’imprescindibilità dei suoi effetti sociali, e dei lati negativi di tali aspetti. Ugualmente non considererò, come non direttamente attinenti al mio assunto, i contributi sui rapporti tra sviluppo e "sottosviluppo", che a partire dagli anni ’60 hanno costituito una novità critica di grande importanza.
Non intendo in alcun modo dare un giudizio riduttivo delle discussioni tra "pessimisti" e "ottimisti" a proposito del livello di vita dei lavoratori inglesi, e tra apologeti del fatto compiuto e fautori d’una revisione socialista e ugualitaria; ritengo infatti che solo da una considerazione storica centrata sul sociale e sul globale può sortire un accoglimento della problematica ecologica e quindi d’una rivoluzione degli studi. Infatti, chi pone l’accento sugli aspetti negativi della ricaduta sociale dello sviluppo capitalistico – sia nell’Inghilterra della rivoluzione industriale21 sia nel quadro mondiale dell’espansione imperialistica e della divisione Nord–Sud – contesta con ciò stesso, quanto meno, le forme e i modi determinati dalla logica intrinseca dello sviluppo stesso.
Ma il mio compito in questo intervento é di delineare brevemente il contributo della storiografia sulla rivoluzione industriale a proposito dei contesti e coinvolgimenti fisici dello sviluppo e della sfasatura tra tempo storico e tempi della natura, in un quadro generale che ci invita ad una più complessa interdisciplinarità.


Polanyi e gli altri

Uno dei maggiori studiosi della "grande trasformazione", Karl Polanyi, scrivendo dopo la grande crisi degli anni "30 e mentre si combatteva la seconda guerra mondiale, affermava che le radici delle catastrofi della contemporaneità andrebbero cercate appunto nella rivoluzione industriale; allora la maggioranza della società era stata inscritta in posizione subordinata in un’economia di mercato basata sull’interesse individuale, che era estranea e avversa ai suoi veri interessi. Ma ciò che più direttamente ci riguarda é che nella prospettiva critica di Polanyi troviamo la "subordinazione della superficie del pianeta alle necessità della società industriale" "i nuovi e tremendi rischi dell’interdipendenza planetaria", l’imminenza dell’annientamento della natura:
"La produzione per mezzo della macchina in una società commerciale implica in realtà una trasformazione che può essere paragonata a quella della sostanza naturale e umana della società, in merci. La conclusione per quanto macabra é inevitabile; niente di meno potrà bastare allo scopo: ovviamente lo sconvolgimento causato da questi strumenti spezzerà i rapporti dell’uomo e minaccerà di annientamento il suo anbiente naturale. Un pericolo del genere é in realtà imminente"22.
Nelle parole d’un autorevole commentatore dell’opera maggiore dello studioso ungherese, questi vedeva della rivoluzione industriale il "carattere di calamità sociale e culturale"23, al che indubbiamente si riallacciavano le preoccupazioni per l’ambiente naturale globale:
"Quella che noi chiamiamo terra é un elemento della natura inestricabilmente intrecciato con le istituzioni dell’uomo. Isolarlo e farne un mercato é stata forse la meno naturale di tutte le imprese dei nostri antenati"24.