Ho parlato all’inizio di "crisi del passato", e devo chiarire il concetto. L’avventura storica presuppone una franchigia ambientale che l’uomo ha ottenuto dalla natura, una sorta di ampio margine in cui si svolge l’attività umana in tutta la sua complessità. Lo storico tende tuttavia a dimenticare che la franchigia non é incondizionata, e che il margine utile non é sconfinato, ma ha limiti molto netti, scientificamente calcolabili a partire dalla corporeità dell’uomo, ed anzi – più in generale, ma del generale é parte l’individualità della specie umana – dalla corporeità del vivente. Il patto tra ambiente materiale e vivente presuppone dunque una fascia di vivibilità molto precisa, le cui misure sono oggettivamente inviolabili. La rigida compartimentazione tra scienze umane e naturali ha fatto sì che sia stato e sia tuttora possibile scrivere di storia trascurando appunto 1), che esistono fondamenti fisici della vita e della storia stessa; 2), che questi rimandano a confini non localizzabili, ma che passano attraverso il vivente; 3), che la storia é primariamente un fatto ecosferico reso possibile da una realtà naturale di gran lunga preesistente e sempre concomitante.
Di tutto questo si va prendendo conoscenza (e molto parzialmente e lentamente coscienza) solo in conseguenza della violazione della fascia di vivibilità da parte dell’uomo, intendendo per "uomo" il complesso delle attività sociali, più concretamente dell’organizzazione caratterizzante delle pratiche sociali sul piano mondiale, con i suoi effetti diretti o indiretti. Da un certo punto di vista natura e vicenda umana si presentano come una successione biologica diventata gradualmente convivenza; l’idea della franchigia incondizionata e perpetua nasce dall’apparente autonomia della storia e comunque dall’ignoranza del nesso vitale tra i due ordini, che possono appunto pensarsi come due storicità, l’una vettrice dell’altra.
Dire che l’uomo non può dimenticare il suo porte–enfant naturale non significa mitizzare la natura come madre sempre buona e dolce. La natura é anche matrigna. L’ideologizzazione della vita delle società come perpetua lotta per il controllo delle forze naturali ostili e l’uso massimale delle risorse non é caduta dal cielo, ma é sorta dall’esperienza. Il progresso é in buona parte consistito in quella lotta contro le durezze della natura e nelle quotidiane sofferenze di uomini e donne che ne erano vittime; e i suoi successi, e le ulteriori possibilità di avanzamento, sono dimostrati proprio dai settori della scienza meno direttamente implicati in una tipologia generale della ricerca che é sottomessa alla legge del profitto e del dominio.
E tuttavia la storia é ora giunta ad un punto critico, vigilia possibile d’una crisi entropica di portata pantoclastica. In queste condizioni é necessario vedere i torti e le violenze crescenti inflitte alla natura da una rescogitans che si arroga l’onnipotenza e la predestinazione al dominio incondizionato. E’ necessario vedere gli aspetti positivi, ma anche gli orrori dell’ambiente artificiale e della cultura che sottostà ad essi, e quindi la collisione tra i due ambienti e la tragedia dell’òikhos. Ed é necessario considerare questa tragedia, e la possibile reversibilità del progresso fino alla possibile "perdita secca"16 della specie umana, la "fine del mondo’, come processo endostorico, e come processo in atto.
Si potrebbe lungamente discutere delle responsabilità della politica in tutto ciò: i gestori dell’ecumene sono muti di fronte alla catastrofe, si difendono da essa aggiungendo dosi massicce di tecnologia e di guerra a quelle già in circolo, si sottraggono alle responsabilità e al giudizio tacendo. Sanno? E sanno fino ad averne coscienza?17 Quello della politica e dei politici é un problema che assume proporzioni abnormi. Ma non ci si propone di trattarne qui, mentre il senso della riflessione si rivolge a suscitare la responsabilità degli intellettuali e degli studiosi, e in particolare degli storici di mestiere, ad affermare la possibilità di passare a un nuovo paradigma critico. L’entità della posta é tale da richiedere una nuova capacità di scienza complessiva e una nuova moralità della disciplina storiografica. Disciplina che é, sulla carta, in condizioni di vantaggio e quindi di maggior responsabilità, proprio perchè il suo oggetto precipuo di studio é ciò che é in gioco e può finire. Ma finora essa mostra di non voler profittare di questo singolare, e per altro verso tremendo privilegio.
Se una civiltà muore – e adesso é la civiltà che va a morte, anzi al suicidio – la principale questione che gli storici dovrebbero porsi é la ragione (le ragioni) della fine, il che rimanda ad una anamnesi complessiva – a partire dalla condizione finale – di storia umana e di preistoria, di economia e di antropologia, di natura e di cultura. Tutte le paratie e le segmentazioni del sapere–non sapere saltano di fronte ad un simile compito: quelle disciplinari e quelle temporali. Se gli storici si sottraggono a questo compito e se la pluralità delle ipotesi e dei giudizi non diventa la base d’una discussione e d’una capacità di confronto della crisi, ciò significa che stiamo in realtà assistendo allo scardinamento della disciplina storica come narrazione positiva o Bildung della nostra civiltà, dovuto all’incapacità di un’autocritica dei fondamenti della modernità e dell’Occidente. Significa che la crisi del passato é il simbolo dell’agonia del presente. La considerazione é spiacevole ed oggettivamente lacerante, ma i segni in contrario sono davvero scarsi e la situazione estrema non lascia adito ad ammorbidimenti "diplomatici’.
Se l’interdisciplinarità umanistica e la longue durèe sono principi epistemologici comunemente accettati e da molti praticati, dobbiamo concluderne che essi – nella loro accezione corrente, che si rivela infatti restrittiva – non ci sono serviti a capire la storia e i suoi probabili approdi. La storia non si esaurisce nella storiografia, che la rappresenta in qualche modo decurtata e deformata dal prisma dell’ideologia e della psicologia dominanti. La possibilità di rovesciare positivamente il rapporto tra ideologia e essere reale é affidata alla priorità cognitiva da riconoscersi a quest’ultimo, e ad una visione della storia a partire dal punto attuale e dalla rilevazione delle linee di tendenza del movimento storico della modernità, alla luce dei concetti già ricordati della termodinamica e dell’entropia. Da quella rilevazione non potremo evitare di trarre conclusioni inerenti alla condizione escatologica del presente e alla possibilità di un ricongiungimento della storiografia alla storia.