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La cultura storica e la sfida dei rischi globali - Page 4


Non si può essere d’accordo che la concezione marxista del progresso possa ridursi a quella della borghesia dominante (e, del resto, mi sembra molto semplificatrice la riduzione del socialismo nel quadro di un generico modo di produzione industriale), ma non c’é dubbio che i vari marxismi storici e il movimento operaio nel suo complesso si sono via via allineati a una pratica di sviluppo da cui traevano vantaggi mediante gli episodi di resistenza sindacale e di opposizione intrasistemica.
L’allineamento al modello pratico era (ed ancora può essere) selettivo dei lati buoni da quelli cattivi (la povertà, la disoccupazione, l’ineguaglianza sociale non riscattata ed anzi esclusa dal paradigma dell’eguaglianza formale giuridico–politica); ma appunto questa selezione radicava anche gli oppositori del sistema in un’idea eticizzata di progresso che legittimava, in sostanza, produzione e produttore.

Non é possibile qui analizzare quanto le teorie della storia e la pratica delle scritture di storia siano state permeate dall’idea positiva del progresso, e quanto quest’ultimo concetto sbocchi in una filosofia teleologica. Importanti contaminazioni sono avvenute tra materialismo e idealismo sulla base d’una tale filosofia della storia, che l’illuminismo aveva consegnato all’Ottocento della rivoluzione industriale e del "fardello" della civilizzazione universale. E’ comunque da rilevare che, generalmente, le critiche al concetto positivo astratto di progresso e all’ideologia della storia come fenomeno antropocentrico e lineare, così come le voci di allarme per il trend della storia, non sono provenute dall’interno della storiografia, ma da altre culture disciplinari, e principalmente dal nuovo paradigma interdisciplinare e olistico rappresentato dall’ecologia.
Gli elementi conoscitivi che l’ecologia va introducendo nella nostra cultura, che li recepisce con riluttanza e ancora non li sta veramente mettendo in opera, sono derivazioni dai princìpi della termodinamica e hanno il loro nocciolo nel concetto di entropia13.
L’ineluttabilità della degradazione dell’energia e dell’aumento dell’entropia non appartengono solo alla natura: l’attività dell’uomo si inserisce infatti nei processi fisici, li velocizza e li manipola, agendo anche sulla base d’una ideologia radicata nella necessità di difendersi dalle durezze della natura e nella contrapposizione di civiltà e natura. La termodinamica afferma invece, insieme con la direzionalità obbligata del tempo, la necessaria unità ab initio di natura e nascita, natura e possibilità di vita e di storia; e suggerisce la ricerca di un’armonia della prassi umana con le leggi fisiche, tale da assicurare sviluppo e progresso (sociale, scientifico, tecnico) senza incidere negli equilibri naturali.
L’ecologia, fondandosi sulla termodinamica, parte dal tempo presente; di coscienza ecologica nel senso dell’unicità dell’ecosistema si può parlare da non più di pochi decenni, anche se non sono mancati i premonitori e i precursori. Ma questa giovane "nuova scienza", segnalando appunto da un lato la primazia del processo entropico e della direzione del tempo e dall’altro l’incidenza distruttiva della modernità, propone e impone con la forza dei dati un nuovo punto di vista e una nuova visione teorica della storia, oltre che nuove interconnessioni tra scienze umane e scienze naturali. Basti pensare che il tòpos della "accelerazione della storia" si può ritradurre nel quadro della accelerazione artificiale dell’entropia, che collega ogni presunta autonomia e autogestione del fare umano ai ritmi intrinseci alle leggi fisiche. La collisione della storicità della prassi con la storicità maggiore della natura e la necessità di cambiare il senso e la velocità dello sviluppo scavalca la retoriche del progresso e va a colpire l’orgoglio prometeico.
Di "gap" o "scarto prometeico" parla Günther Anders14 e di "secoli di euforia post–baconiana, prometeica", che sulle ali dell’"esagerazione tecnica" ha condotto ad una "galoppante avanzata" tratta a lungo Hans Jonas15. Ho nominato due autori di diversa formazione, che non erano propriamente ecologi, ma che traevano dalla condizione esistenziale dell’umanità in età atomica conseguenze di carattere generale, filosofico e etico. Anders e Jonas non erano neppure degli storici; ma la loro comune idea del prometeismo sfrenato, dell’esagerazione, del folle galoppo della modernità rimanda ad un passato da conoscere ex novo, ad una caparra del passato sul presente e ad una storia da costruire.
Una storia non storicistica, non antropocentrica, non lineare e teleologica, non dominata e trascinata dalla religione della crescita produttiva, ma capace di cambiare profondamente, per certi aspetti di rovesciare la tipologia corrente di progresso. Al suo centro non abbiamo l’uomo dell’intrapresa e degli investimenti, l’opulenza del mercato e dell’accumulazione, la crescita indiscriminata dei consumi; non abbiamo i ritmi sempre più accelerati della tecnica, ma il recupero d’una misura naturale del tempo; non l’uomo schiavo o padrone, proletario o capitalista, dolente o trionfante, ma il vincolo della biosfera; non il ciclo della riproduzione allargata e della voracità aggressiva e belligena del capitale, ma la consapevolezza del limite della potenzialità umana di fronte ai confini della natura; non l’avere, ma l’essere.
E’ superfluo far rilevare la profondità della rivoluzione culturale che é insita in tutto ciò; e già ho detto delle resistenze che a questa rivoluzione vengono dal senso comune e dai vantaggi appariscenti acquisiti nei secoli dello sviluppo illimitato e gratificante, che abbiamo imparato a porre a fondamento del nostro orgoglio di moderni.
Ma che ne é, in tutto ciò, della storia degli storici? Che ne dice Clio?



La crisi del passato

Clio tace, o quasi. Balbetta il suo vecchio linguaggio dello svolgimento lineare o per cicli, entrambi proiettati in un indefinito temporale. Nel franare del suo senso convenuto, si esprime ancora da un immaginario punto alto dello sviluppo occidentale, oppure si rifugia nelle pieghe della microstoria, o ancora inventa preziosismi metodologici e coltiva perfezionismi. Mentre é giunta, quasi per gioco, ad affermare la morte della storiografia, non vuole prendere atto della mortalità della storia. Considera se stessa come entità culturale, parte dello Spirito immortale, ma arretra di fronte ad una realtà terribile e non appare neppure in grado di concettualizzare le evenienze.