Luigi Cortesi intellettuale e militante:
un ricordo nella prospettiva di un impegno comune che deve continuare
Roma, 23 gennaio 2010, Fabio Marcelli
E’ per me un grande onore essere chiamato qui a rendere breve testimonianza della vita e dell’opera di Luigi Cortesi, Gigi. Partirò, per delinearne un breve profilo, dalla mia esperienza personale, il cui inizio risale all’incontro con Gigi avvenuto quasi venti anni orsono.
Si è trattato in effetti di un incontro che ha significato molto per la mia vita di studioso, ma, vorrei aggiungere, anche per la mia vita tout-court, consentendomi di intrecciare in modo estremamente proficuo le mie attività professionali di ricercatore e l’impegno politico. L’incontro con Gigi fu, in questo senso, e di questo gli sarò sempre molto grato, una vera e propria “quadratura del cerchio”, offrendomi la possibilità di integrare un lavoro di ricerca settoriale e specifico nel campo del diritto internazionale con una più ampia visione del mondo e con un impegno di natura più direttamente politica, seppure non priva di un suo rigore scientifico, e di venire a contatto con una più ampia e davvero interdisciplinare cerchia di studiosi operanti nei più vari ambiti del sapere e della riflessione.
Si era nei primi anni Novanta e Gigi, animato dal suo infaticabile spirito di studioso estremamente attento alle evoluzioni della storia e dalla sua passione di militante comunista, eretico nel migliore dei significati che si possa attribuire a questa parola, aveva da poco creato quella rivista, “Giano” che fu sempre la sua creatura cui si dedicava con un affetto profondo e senza limiti.
Si è trattato di una rivista importante, che a ragione oggi vogliamo rilanciare, che ha rappresentato per molti anni, una ventina in tutto, un punto di riferimento per numerosi intellettuali e studiosi appartenenti a molteplici settori disciplinari e scuole di pensiero.
Nato originariamente sul problema della pace, a ridosso della questione degli euromissili e del grande movimento pacifista che aveva attraversato l’Europa e l’Italia, “Giano” si caratterizzava, in quella fase per un impegno pressoché esclusivo sui temi della pace e del rischio nucleare, e per la partecipazione prevalente, insieme a Gigi, storico dell’età contemporanea e del movimento operaio, di scienziati duri e puri, come Longo, Silvestrini, Fieschi.
Io venivo dall’esperienza dei “Giuristi contro la guerra”, nel cui ambito avevamo operato contro la prima guerra del Golfo e la partecipazione italiana alla stessa, nella quale ravvisavamo una chiara violazione dell’art. 11 della nostra Costituzione e parallelamente della Carta delle Nazioni Unite.
Gigi, dotato di un’attenzione e di una sensibilità intellettuale davvero senza pari, che sapeva travolgere ogni artificiosa distinzione dottrinale per cogliere, da autentico scienziato, la natura di fondo dei problemi, si era reso conto dell’importanza dello strumento giuridico e pertanto mi aveva proposto di entrare a far parte del collettivo redazionale e poi del consiglio direttivo della Rivista, affidandomi in seguito l’onere, cui mi dedicai per alcuni anni con un certo impegno, di redattore capo della stessa.
Sono stati anni per me di crescita al tempo stesso scientifica e politica: analisi scientifica dei temi internazionali e proposta politica, in effetti, si intrecciavano e rafforzavano mutualmente contribuendo l’una a qualificare l’altra in un reciproco e scambievole gioco dialettico.
Non mancavano mai lo stimolo, il consiglio, la critica benefica di Gigi. A volte mi confortava, “Il tuo saggio ha una sua robustezza”, a volte mi sferzava con una salutare critica, “Hai scritto un editoriale che sembra un volantino”. Io a volte mi irritavo, ma più spesso ero gratificato dall’attenzione e dall’approvazione di questo studioso militante nel quale intravvedevo un modello, del quale ammiravo la grande cultura ed umanità e della cui amicizia e frequentazione traevo al tempo stesso nutrimento intellettuale e diletto, anche per l’umorismo e la verve di cui sempre dava prova anche nei momenti più difficili.
Parallelamente si svolgeva la nostra vicenda di militanza in Rifondazione comunista. Quest’ultima, devo dire, fu per noi fonte di qualche divergenza per i differenti schieramenti che ci vedevano coinvolti nell’ambito del dibattito interno del Partito, ma sempre, o quasi, vissuta con molta tolleranza e disponibilità reciproca. Del resto, anche le divergenze politiche si annullavano, fortunatamente, nella più ampia prospettiva del comune impegno scientifico e politico, dando a questo secondo termine un significato assolutamente non contingente, parziale e strumentale, quello che purtroppo ha sempre più assunto nell’Italia degli ultimi trenta anni, inclusa, purtroppo, anche la sinistra e Rifondazione all’interno di essa.
A posteriori, devo oggi riconoscere che buona parte delle critiche che Gigi, pur sempre disciplinato militante, rivolgeva alla direzione del PRC, erano fondate. Del resto ravvisavamo, già all’epoca, di comune accordo, uniti in questo al resto della redazione, una mancanza di prospettiva derivante dalla mancata attribuzione del dovuto peso alle questioni davvero strategiche della pace e dell’ambiente.
Quest’ultima aveva assunto, nel pensiero di Gigi, un’importanza anch’essa fondamentale. Il parziale mutamento di prospettiva, o meglio il suo ampliamento, assumendo le spinte alle guerra e il progressivo degrado ambientale come due manifestazioni del rapporto storico fra capitalismo e catastrofe, che possiamo considerare una delle principali chiavi di lettura dell’opera e del pensiero di Gigi, veniva ufficializzato con il cambiamento di sottotitolo di “Giano” da “ricerche per la pace” a “pace, ambiente e problemi globali”.
Ci dedicavamo in questo senso all’analisi dei progressivi slittamenti bellicisti dell’imperialismo statunitense, dalla prima guerra del Golfo all’intervento in Somalia, a quello nella ex Jugoslavia, all’Afghanistan fino alla seconda guerra del Golfo. La coerente presa di posizione contro le imprese belliche dell’imperialismo si accompagnava alla condanna di coloro che, in Italia, ne furono e continuarono ad essere i solerti complici e sodali. Parallelamente avevamo avviato un dibattito sulle Nazioni Unite e il diritto internazionale, che Gigi, marxista non dogmatico e per nulla primitivo, considerò sempre importanti strumenti di lotta e di configurazione di alternative, pur sottolineandone impietosamente i limiti e la crisi.
La coerenza ed onestà intellettuale estreme, unite a una profonda cultura e a un acume intellettivo davvero invidiabile costituivano del resto i pregi fondamentali di Gigi. Essi contrassegnarono sempre un’esistenza di lotta, su tutti i fronti, contro l’oppressione, lo sfruttamento e la distruttività del sistema.
Cominciò, giovane rampollo di una famiglia di piccoli imprenditori bergamaschi dediti alla fabbricazione di dolciumi, abbracciando la causa della resistenza armata contro il nazifascismo, durante la quale fu tra i membri di una formazione che operava militarmente con successo nel Bergamasco, ma non era ascrivibile a nessuna delle grandi famiglie politiche della Resistenza. Già in quest’esordio sono a ben vedere ravvisabili i germi e i simboli di una militanza non convenzionale, ma dotata di proficui tratti di originalità, che ha costituito un altro elemento importante dell’opera politica e scientifica di Gigi.
Iscrittosi in seguito al PCI e qualificatosi come giovane e brillante studioso del movimento operaio operante presso la Fondazione Feltrinelli, Gigi si dissociava nettamente dal partito all’epoca dell’intervento in Ungheria, dimostrando una lucidità che andava ben oltre l’accoglimento dei dettami del gruppo dirigente e della linea politica dominante. A differenza di altri, che pure esprimevano in tale occasione una critica e una dissociazione dalle posizioni del partito, Gigi ne traeva però uno stimolo al rafforzamento di posizioni, le sue, che furono sempre in modo autentico e intransigente di sinistra.
In tale contesto storico Gigi dava vita, con Stefano Merli, alla Rivista storica del socialismo, usciva dal partito e pubblicava alcuni libri di grande importanza sulla storia del movimento operaio italiano, la cui stesura abbraccia il periodo fra l’inizio degli anni Sessanta e quello degli anni Settanta: La costituzione del Partito socialista italiano (ed. Avanti! 1962) , Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione (Laterza 1969), (Le origini del Partito comunista italiano, Laterza 1971).
Si tratta di anni decisivi per la nostra storia. Il Sessantotto internazionale ed italiano, con la sua lunga e anomala, rispetto agli altri Paesi occidentali, coda italiana, che si protrae fino a metà degli anni Settanta, anni memorabili di lotta di classe e di risveglio e presa di coscienza di masse imponenti di lavoratori, donne, giovani, lo vedevano direttamente impegnato sia sul piano dell’elaborazione intellettuale che su quello propriamente politico. Parallelamente si svolgeva la sua carriera accademica, con la chiamata prima a Salerno e poi all’Istituto orientale di Napoli.
Ulteriore evento di grande significato, che si rivelava destinato a segnare profondamente tutta l’ulteriore opera di Gigi era l’incontro con i filosofi tedeschi Gunther Anders e Hans Jonas, e con i grandi temi da essi trattati dell’impegno pacifista, della lotta alla guerra e allo sterminismo, della responsabilità, anzitutto degli intellettuali e in particolare degli scienziati, in questa lotta. Anche tale occasione intellettuale era strettamente collegata con il movimento di massa che, nel corso degli anni Ottanta, si dispiegava nell’Europa intera e anche in Italia contro gli euromissili e le politiche belliciste dell’amministrazione Reagan, che aveva da noi nel governo del CAF il suo esecutore fedele.
Ne risultava, come accennato, la nascita di “Giano” (1989), che sarebbe ben presto divenuto un luogo privilegiato di scambio ed elaborazione collettiva su questi temi, dei quali Gigi, da storico avveduto e lungimirante, aveva ben presto intuito l’essenziale pregnanza. Egli allargava come detto la sua riflessione all’insieme de “rischi globali” derivanti dalla natura stessa del sistema dominante, fra cui soprattutto quello ambientale.
La sua produzione di quegli anni comprende un volume come “Storia e catastrofe” (1984), che contiene una sua prima compiuta riflessione sull’era nucleare all’epoca dei blocchi contrapposti e della MAD (mutual assured destruction).
Consapevole della novità e complessità delle sfide derivanti dal cosiddetto processo di globalizzazione, contraddistinto da una rinnovata aggressività del capitalismo statunitense e dall’esaltazione del ruolo delle società multinazionali, si dedicava successivamente all’analisi della fase storica iniziata nel 1989 con il crollo del socialismo reale (Una crisi di civiltà, Esi 1999, la nuova edizione di Storia e catastrofe, manifestolibri 2004, e L'umanità al bivio, Odradek, 2006). Parallelamente, entusiasta per la nascita del PRC, nella quale intravvedeva la possibilità, poi purtroppo risultata in buona parte delusa, di una rifondazione del pensiero e della prassi comunista in Italia pubblicava anche “Le ragioni del comunismo” (1991) e continuava il suo lavoro di storico del movimento operaio (Il comunismo inedito. Lenin e il problema dello Stato, Punto Rosso 1995, la nuova edizione de Le origini del Pci, il volume da lui curato Amadeo Bordiga nella storia del comunismo, Esi 1999, e Nascita di una democrazia, manifestolibri 2004), fino all’ultimo grande sforzo, compiuto negli ultimi anni, quello della malattia che alla fine ce lo ha sottratto, dedicandosi fino all’ultimo all’opera “ Storia del comunismo dalle origini agli anni tra le due guerre”, del quale ora ci parlerà Andrea Panaccione.
Il mio ricordo, la mia commemorazione di Gigi terminano qui. Penso che il miglior modo di onorarne la memoria sia di riprendere e continuare il suo lavoro di valore impareggiabile, del quale gli siamo profondamente grati, un lavoro di analisi e di proposta progettuale, una teoria e una prassi delle quali sentiamo oggi, se possibile, nell’Italia di Berlusconi e dell’eclisse della sinistra, nel mondo del rapido tramonto del mito Obama e dei problemi globali sempre più acuti e apparentemente irresolubili, l’enorme mancanza, il vuoto probabilmente incolmabile che la sua perdita ci ha lasciato. Ma, forti del suo esempio e nel suo nome, continueremo la sua lotta e la sua opera.